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.  Recensione: David Engwitcht 1999, Street Reclaiming
Data:  Tue, 7 Nov 2000 
Da: "Sergio Porta, Caire coop Reggio E." <s.porta@caire.it> www.caire.it

(per gentile concessione dell'autore. Pubblicato su carta su 
"Notiziari dell'Archivio Osvaldo Piacentini", n.4, Marzo 1999, sito web: www.archiviopiacentini.it).


Note e riferimenti  |  Link, vai al sito di LessTraffic.com 
La recensione di “Street Reclaiming” un recente libro di David Engwitch, il profeta australiano del "traffic calming", dà l’occasione a Sergio Porta di discutere il significato della moderazione del traffico nelle pratiche di pianificazione urbana. Si confrontano i punti di vista di importanti protagonisti dell'attuale dibattito sulla pianificazione urbana, quali Peter Newman, Peter Hall e John  Friedmann, ipotizzando un futuro tutto da costruire per tali esperienze in Italia, di qualificazione della mobilità ma anche di innovazione nelle pratiche di pianificazione.



NOTE
1 Newman P., Kenworthy J. (1999), “Sustainability and Cities: Overcoming Automobile Dependence”, Island Press, Washington D.C., U.S.
Engwicht D. (1999), “Street Reclaiming: Creating Livable Streets and Vibrant Communities”, New Society Publishers, Gabriola Island BC, Canada
3  Engwicht D. (1999), p.147.
4  Engwicht D. (1999), p.147.
5  Engwicht D. (1999), p.127.
6  Hall P. (1996),Cities of Tomorrow”, Blackwell, Oxford.
7  Friedmann J. (1993, c.1987), “Pianificazione e dominio pubblico: dalla conoscenza alla azione”, Dedalo, Bari.
 

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TRAFFICO E COMUNITÀ
Appunti sulla “morte del Traffic Calming”

Sergio Porta

Il destino di chi arriva tardi ad una festa è spesso quello di stappare la bottiglia quando il meglio ormai langue e gli invitati, con il viso segnato dalla sbornia, se ne stanno andando. E’ quello che ho pensato leggendo sulla home page di David Engwicht (http://lesstraffic.com) uno spot evidenziato in rosso con lo stupefacente messaggio “Traffic Calming is Dead”. Ecco qua, mi sono detto, il ciclo si sta già chiudendo mentre in Italia stiamo ancora lottando per aprirlo. La sensazione, insomma, comune a chiunque stia lavorando per l’introduzione del Traffic Calming nella nostra tradizione tecnica, potrebbe essere di puntare su un obiettivo che nei contesti di origine la storia ha già metabolizzato e superato. Ma davvero “il Traffic Calming è morto”?

David Enwicht è molto noto a chi si occupa di Traffic Calming. Australiano di Brisbane, Engwicht fu tra i protagonisti della rapida diffusione nel mondo anglosassone dei principi teorici e tecnici delle esperienze olandesi dei Woonerven dei primi anni ’70 e di quelle francesi, tedesche e danesi immediatamente successive. Il suo testo “Traffic Calming”, del 1989, fu un punto di riferimento aggiornato e al tempo stesso la testimonianza in “tempo reale” di un passaggio determinante nella mi-crostoria del Traffic Calming: il passaggio tra ciò che oggi chiamiamo la “prima generazione”, ba-sata su interventi architettonici intensivi concentrati su singole strade in contesti residenziali periur-bani, a quella che chiamiamo la “seconda generazione”, che adotta uno stile meno intensivo di in-tervento, ma si rivolge a parti di città e potenzialmente all’intero organismo urbano o metropolitano, che include non solo le strade locali ma anche quelle principali, che si pone come politica di soste-nibilità urbana e strumento centrale di riequilibrio modale, che infine sposta l’enfasi dalla “volume diversion” alla “speed reduction”. E’ quest’ultima generazione ciò per cui lavoriamo oggi: questo è il modello di riferimento per chi si occupa di trasporti urbani ponendosi all’interno di una più com-prensiva riflessione verso la qualità sociale e la sostenibilità urbana. Non è un caso che Peter Newman includa questa interpretazione del Traffic Calming tra le quattro politiche fondamentali per una città non “auto-dipendente” (1) . Se quindi David Engwicht, che ne fu uno dei promotori, dice ora che “il Traffic Calming è morto”, sarà bene come minimo capire perché.

Passando dal sito internet all’ultimo recentissimo libro (2) , la affermazione apodittica si articola e si approfondisce. In sostanza, dice Engwicht, ciò che del Traffic calming è filtrato attraverso le strutture tecnico-professionali e culturali correnti è stata una sua interpretazione estremamente riduttiva, perché “sia gli attivisti locali che gli ingegneri hanno adottato alcune delle tecniche che si propo-nevano ma hanno abbandonato il contesto di quelle tecniche” (3) . Dossi, piattaforme, restringimenti, chicanes, chokers, rotatorie continentali, diversori, sono stati distribuiti nelle strade residenziali senza essere inseriti in programmi complessi di riqualificazione urbana e di coinvolgimento/sensibilizzazione dei cittadini, divenendo puri strumenti di concentrazione del traffico sulle arterie principali e di coercizione del residuo traffico locale. “Quello che abbiamo avuto sono stati alcuni cambiamenti fisici (…) che si sono potuti fare sulle cosiddette strade “residenziali”, mentre i dipartimenti di pianificazione continuavano a costruire arterie e tangenziali migliori e più ampie. Abbiamo perfino avuto la paradossale situazione di città che hanno giustificato l’espansione delle strade come ‘Traffic Calming’, argomentando che queste strade più grosse erano necessarie per ospitare il traffico spostato dalle strade ‘residenziali’ a quelle ‘principali’ (4)”  . “Ma”, continua Engwicht, “le strade principali sono dove altra gente vive (spesso anziani o indigenti), dove tutti fanno shopping, e dove sono localizzate le scuole. Io respingo con forza l’idea che alcune strade siano per viverci e altre solo per guidarci l’automobile. E’ vero che alcune strade devono sopportare più traffico di altre. Ma per lo sviluppo storico delle nostre città, le strade principali sono anche esse parte del nostro tessuto vitale” (5) .

La lezione di Engwicht è quindi assai attuale, articolata e convincente:
1- il Traffic Calming deve essere prima di tutto una politica, non una tecnica.
2- il Traffic Calming, come politica, deve essere di livello urbano e di lunga durata (pianificazione), e coinvolgere in modo particolare le strade principali; esso deve essere fortemente integrato a programmi partecipativi di riqualificazione ambientale e di sensibilizzazione;
3- il Traffic Calming, come tecnica, è uno strumento, non un fine: il fine è sempre quello della riqualificazione ambientale e della sensibilizzazione collettiva, cioè del rafforzamento del sentimento di comunità mobilitato a difesa dello spazio pubblico collettivo; in termini operativi, ciò significa che in un buon progetto di traffic calming le misure tecniche dovrebbero per così dire “scomparire”, stemperate nel progetto dello spazio pubblico per la vita sociale.

Di più, Engwicht rende la sua posizione ancora più radicale, parlando di una “priorità socio-culturale” e focalizzando la sua attenzione sui processi di mobilitazione dal basso delle comunità di quartiere. La chiave, dice, è il “cambiamento socio-culturale”, che si esplica nella presa di respon-sabilità da parte delle collettività locali attraverso processi di auto-organizzazione strutturata, dei quali vengono chiariti i possibili passaggi principali. La riconquista dello spazio pubblico avviene attraverso questi processi, non (o solo secondariamente) attraverso un “progetto” esterno, seppure di Traffic Calming; in questi processi, tipicamente, lo “psychological reclaiming” riveste una impor-tanza assai maggiore del “physical reclaiming” e si riconnette al riconoscimento da parte delle co-munità di quartiere della propria identità territoriale (coesione).

E’ facile leggere in questa posizione la continuità di quella che Peter Hall ha chiamato la “radice anarchica” della pianificazione urbana (6)  e che John Friedmann ha identificato come “mobilitazione sociale” (7) , una delle quattro grandi tradizioni della pianificazione pubblica. Ma qui conviene rimarcare l’importanza cruciale che queste indicazioni hanno per chi, come noi oggi, trattiamo ancora il Traffic Calming come innovazione. Il pericolo, assai evidente e già in essere per molti versi, è di avere sbagliato indirizzo ed essersi presentati con lo champagne ad un funerale, al funerale del Traffic Calming. Perché se quella interpretazione del Traffic Calming è morta, proprio in Europa e vicino a noi ci sono esperienze assai diffuse di una interpretazione diversa e vincente, più comprensiva, che mentre approfondisce e sperimenta l’intervento sulle strade urbane principali si apre alla interazione sociale e si colloca consapevolmente al fianco di altre politiche di sostenibilità urbana.

La festa è qui, ed è appena cominciata.
 

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